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Filiberto
Menna Sottosuolo del
linguaggio |
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Questa nuova proposta critica sui rapporti tra
pittura e scrittura non può rimandare a due precedenti immediati e cioè alla
mostra “Pittura-Scrittura- Pittura” tenutasi nel .la tesi ericina era piuttosto semplice anche perché ricalcata,
per così dire, da una osservazione diretta dei fatti: tra la seconda metà
degli anni cinquanta e la prima metà degli anni ottanta la relazione tra
scrittura e pittura registra una oscillazione pendolare. Mentre negli anni
cinquanta la pittura tende alla condizione della scrittura (da Caporossi a Towombly, da Novelli a Perilli
all’Accardi…), negli anni recenti le diverse declinazioni di un’arte come
scrittura sembrano percorrere il cammino inverso e orientarsi verso una
definizione pittorica dei segni.in mezzo, lungo
l’intero arco degli anni sessanta e settanta, si accampano le esperienze
incentrate più direttamente sulla scrittura, a cominciare dalla poesia
visiva. Queste oscillazioni rispondono, naturalmente,
ad esigenze complementari di natura espressiva e comunicativa: la pittura,
nel momento in cui si orienta verso la polarità della scrittura, accogliendo
nella propria struttura sintattica elementi eterogenei come la lettera, la
parola, la frase, sposta, sia pure in maniera non decisiva, il centro del
proprio discorso verso il polo comunicativo proprio per la maggiore
determinazione semantica del linguaggio verbale. L’artista cioè avverte
l’esigenza di una maggiore oggettività, o, almeno intende dare notizie più
determinate delle proprie intenzioni espressive. L’oscillazione della scrittura verso il polo
della pittura esplora un percorso contrario, indaga sulle possibilità che il
linguaggio possiede di discendere in profondità negli strati più segreti del
soggetto e riportarne in superficie le ragioni, determinate e sudeterminate, che lo muovono nella realizzazione
dell’opera. Il passaggio dal segno verbale al segno pittorico,o, meglio, da
una struttura a dominante verbale a una struttura a dominante pittorica,
rappresenta senza dubbio il transito verso una maggiore indeterminazione, una
sorta di sprofondamento in quella zona, in qualche modo eterogenea al
senso e alla significazione, che il pittore francese Marc Devade
indicava come il luogo dove s’incontrano i ritmi del gesto pittorico e i toni
dei colori in uno stadio anteriore alle forme storicamente determinate della
pittura. Riprendo, allora, una distinzione che proposi
parecchi anni addietro (in occasione della mostra “La Scrittura” del 1976
alla galleria “La Seconda Scala” di Roma), di tracciare una linea orizzontale
coincidente con la comunicazione corrente e di individuare uno spazio del
“più”, che si dispone al di sopra della linea, e uno del “meno”, che si
dispone al di sotto, si può dire che le esperienze recenti dell’arte come
scrittura, sempre più orientate verso la polarità pittorica, si situano tutte
nello spazio del “meno” in quanto tendenti ad assottigliare il quoziente
semantico della parola e della frase e ad ispessirne, invece, la fattura, l’aspetto figurale. |
Veduta parziale della mostra di gruppo Sottosuolo
del linguaggio tenuta a Bagheria, alla Galleria Ezio Pagano nel 1989 Vertigine, 1985 Tecnica
mista su tela, cm. 80x70 Collezione
privata Tracce
rosse,
1988 Carta
su legno, cm. 50x40 Collezione
privata |
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La scrittura
diventa un’altra cosa: segno astratto, Ghirogoro,
arabesco, geroglifico, richiamando, in ogni caso, l’attenzione
dell’osservatore su se stessa, sulla propria consistenza materiale,
pittorica, appunto, opponendo una sorta di opacità alla trasparenza della
comunicazione verbale. Riprendo, allora, una distinzione
che proposi parecchi anni addietro (in occasione della mostra “La Scrittura”
del 1976 alla galleria “La Seconda Scala” di Roma), di tracciare una linea
orizzontale coincidente con la comunicazione corrente e di individuare uno
spazio del “più”, che si dispone al di sopra della linea, e uno del “meno”,
che si dispone al di sotto, si può dire che le esperienze recenti dell’arte
come scrittura, sempre più orientate verso la polarità pittorica, si situano
tutte nello spazio del “meno” in quanto tendenti ad assottigliare il
quoziente semantico della parola e della frase e ad ispessirne, invece, la
fattura, l’aspetto figurale. La scrittura diventa un’altra cosa: segno
astratto, Ghirogoro, arabesco, geroglifico,
richiamando, in ogni caso, l’attenzione dell’osservatore su se stessa, sulla
propria consistenza materiale, pittorica, appunto, opponendo una sorta di
opacità alla trasparenza della comunicazione verbale. E tuttavia (un punto, questo,
assolutamente fondamentale, un insostituibile tratto distintivo) ii nuovi
segni conservano sempre un sia pure minimo legame con la loro origine
verbale, a testimoniare senza riserve la loro continuità con le esperienze
scritturali degli anni settanta ( quelle che sono
state indicate con il termine di Nuova Scrittura per distinguerle delle
declinazioni storiche della Poesia visiva, concreta, ec.). Anche queste declinazioni scritturali si
disponevano nello spazio del “meno” con l’intenzione esplicita,
sperimentalmente perseguita, di procedere a una desemantizzazione del
linguaggio verbale, disarticolato nei suoi elementi della lettere, la parola
e la frase: “I tratti pertinenti dei significanti (scrivevo nella
introduzione al catalogo della mostra sulla “Scrittura” del ’76) vengono
messi in crisi dalla proliferazione di tratti non distintivi; la
comunicazione si nasconde dietro una rete fitta di cancellature, da cui
affiorano alla superficie, come un iceberg semantico, qualche frammento
significante; la mano riafferma i propri diritti sulla scrittura
introducendo, con le deformazioni soggettive che essa reca con sé, una
quantità di rumori che intralciano la comunicazione: la chirografia fa regredire (o almeno tenta) i segni dalla
discontinuità alla continuità, dal piano del convenzionale e dell’arbitrario
a quello di segni motivati, sovradeterminati: con l’intento apparente di
imitare la scrittura, ne inventa una totalmente altra, situata in una zona
intermedia tra pulsione e discorso”. Mi pare estremamente significativo,
del resto, che Renato Barilli nel “Viaggio al termine della parola. La
ricerca intraverbale” (Milano 1981),
riprendendo un tema svolto nel ’76 a un convegno di Orvieto, faccia il punto
sullo stato di salute della poesia e sottolinei l’esigenza diffusa di
“scavalcare lo spazio esaurito della frase e e
portarsi a lavorare al di sopra o al di sotto di essa”. Rivolgersi al “sotto della
frase”, continua Barilli, “vuol dire rivolgersi al suo ingrediente
essenziale, la parola, senza più rispettarne l’intangibilità, ma, al
contrario sottoponendola a fratture, segmentazioni successive, che potranno
consistere con lo scinderne il corpo radicale, il nocciolo lessematico, dalle
appendici morfologiche, oppure, con interventi via via più selvaggi, nello
scandirne le sillabe, o nell’isolarne i singoli fonemi, e infine superare la
soglia della pertinenza linguistica”. Il superamento di questa soglia
implica, con tutta evidenza, lo sconfinamento in altri ambiti disciplinari, e
tra questi il il campo della pittura. I protagonisti
della ricerca intraverbale, tutti di
estrazione letteraria, tentano il superamento della pertinenza linguistica,
restando ancorati, però, fondamentalmente, al linguaggio verbale, laddove gli
autori di estrazione visiva sono più immediatamente disponibili a sconfinare
nell’ambito della pittura, stabilendo un diretto trai-d’union
tra la esplorazione dello spazio del “meno” degli anni settanta con la
esperienza attuale, in cui lo stesso spazio viene indagato con strumenti
linguistici risultanti da una contaminazione sempre più spinta tra verbale e
pittorico. Vorrei insistere su questo
aspetto delle nuove esperienze scritto-pittoriche: il recupero della
soggettività e l’adozione di segni che rivelano indubbie relazioni con
l’eredità segnicà-gestuale dell’arte informale non
è una concessione agli orientamenti revivalistici postmoderni e tantomeno
alle lusinghe di un recupero del soggetto in chiave di micromitologie
personali, narrative, fabulatorie. Vale, qui, la continuità, che
abbiamo già sottolineato , tra l’analiticità delle ricerche di Nuova
Scrittura degli anni settanta e quella (meno dichiarata, certamente, ma pur
sempre presente) delle nuove esperienze scritto-pittoriche, che attingono sì
a un repertorio linguistico legato agli automatismi caldi dell0arte
informale, ma li sottopongono a una sorta di processo di rallentamento e di
raffreddamento, per controllarne meglio il funzionamento e discendere, con
essi, nelle profondità del soggetto. Luciano Caramel, nella sua
introduzione al catalogo della mostra “Passages” è
stato molto esplicito, su questo punto: vorrei, pertanto, lasciare a lui la
parola di chiusura con una citazione, forse un po’ lunga, ma che per la sua decisiva
giustezza, rientra perfettamente nell’economia di questo testo: “Si insiste
su tutto ciò per limitare l’eventuale, e tutt’altro che ingiustificato,
raccordo di siffatto slittare della scrittura nelle plaghe della pittura col
più generale liberarsi dell’analiticità e della sistematicità nel flusso
dell’emozione e dell’espressione, e quindi nel colore e nel gesto, che ha
contraddistinto l’arte del dopo concettuale, fino alla scoperta dei valori
selvaggi ed all’abbandono ad una divagante, eccitata narrativa. Per
complessità di atteggiamento, irriducibilità a indirizzi monodici, fedeltà
alla sperimentazione, e per un’indefinibile quanto ben avvertibile aura,
quanti hanno coltivato in passato la scrittura non sono né dei converti ti né
dei neofiti, non avendo , abbandonato l’inclinazione
alla investigazione dei meccanismi interni ed esterni del linguaggio e non
avendo d’altro canto optato senza riserve per un registro operativo che non
può essere il loro”. Bibl: Filiberto Menna,
Francesco Gallo (a cura di), Sottosuolo del linguaggio - Scrittura Pittura
Scultura, Ed. I tascabili dell’Arte, Circumnavigazione IV, Bagheria, 1989. |
Giallo, 1990, tecnica mista su tela, cm.95x90 Collezione
privata |
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